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GPTchat e crisi delle democrazie

18-07-2023 16:49

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Europolitiche, Macro/Scenari, europolitiche, intelligenza artificiale, democrazia, gptchat, populismo, nuove tecnologie, evoluzione,

GPTchat e crisi delle democrazie

A cura di Angelo Ariemma.  Il problema come sempre è l’uso che si fa delle nuove tecnologie e del tempo che ci diamo per metabolizzarle.

A cura di Angelo Ariemma (1)

 

Il problema come sempre è l’uso che si fa delle nuove tecnologie, che vengono continuamente proposte, a una velocità che la mente umana non riesce a seguire: diamoci il tempo come umani di metabolizzare tali tecnologie, dice il filosofo Luciano Floridi. Ma c’è questo tempo? O anche GPTchat diventerà un ulteriore modo per non studiare, non approfondire, e accontentarsi delle chiacchiere (chat appunto)? 

Purtroppo, ormai i buoi sono già scappati con i social, che non sono stati regolamentati in nome della supposta intelligenza collettiva, che si è rivelata una bufala, e la gente si è istupidita dietro a tecnologie che hanno arricchito e reso troppo potenti le aziende che hanno saputo sfruttare a loro esclusivo vantaggio questa deregulation generalizzata.

Ancora una volta il problema è definire regole: un mercato senza regole è preda di pochi potenti che diventano sempre più potenti, mentre i deboli diventano sempre più deboli; come è successo anche con le TV private, lasciate all’accaparramento di un’unica azienda/persona. Quindi predominio dei pubblicitari che decidono i palinsesti; predominio della stupidità e della libera chiacchiera su ogni argomento; illusione che tutto questo sia libertà di espressione e democrazia perché tutti hanno voce; illusione che ognuno possa diventare famoso senza talento, purché simpaticone…

Risultato: sparizione del popolo consapevole, che è la radice della democrazia; e affermazione di una massa di pecoroni ignoranti, che non possono che seguire il capobranco.

Così si spiega come Berlusconi e Trump siano diventati capi di governo; così si spiega la crisi delle democrazie e l’affermarsi dei populismi in ogni dove!

Quando le élites pensanti vengono fatte tacere dall’assordante bla bla televisivo, quando le organizzazioni partitiche vengono spazzate via a favore di movimenti personalistici, quando cultura e competenza più non contano, perché ognuno avrebbe diritto al suo quarto d’ora di celebrità, il popolo torna a essere una massa di individui arrabbiati e indifesi, preda di chi riesce a parlare dei loro bisogni primari e propone soluzioni semplicistiche, che poi non può realizzare. 

Come tra le due guerre i dittatori hanno saputo sfruttare i nuovi media di allora (radio e cinema), ora gli autocrati sfruttano il vano chiacchiericcio dei social. Già nella Atene del IV secolo a.C. la lotta era tra i filosofi, uomini del pensiero “scientifico”, e i sofisti, uomini della parola retorica. Attenzione: la massa alla fine sceglie Barabba. Quello che nel film Il caimano Nanni Moretti prefigurava per l’Italia potrebbe accadere per l’America. La realtà supera la fantasia, ma la fantasia pre-vede la realtà: “come d’autunno sugli alberi le foglie”.

A questo proposito è doveroso soffermarsi sul libro di Tzvetan Todorov, “I nemici intimi della democrazia”, Garzanti, Milano 2012, dal quale estraiamo alcuni brani conclusivi della sua analisi e altresì forieri di nuove speranze:

<<La democrazia è malata della propria dismisura, la libertà da cui è contraddistinta diviene tirannide [ricordate? La casa della libertà: ognuno fa come gli pare!], il popolo si trasforma in massa manipolabile, il desiderio di promuovere il progresso muta in spirito di crociata. L’economia, lo stato e il diritto non sono più dei mezzi in vista dello sviluppo di tutti e ormai partecipano a un processo di disumanizzazione. In alcune occasioni questo processo sembra irreversibile." (p. 230).

"Questi nemici hanno un aspetto meno spaventoso di quelli che ieri l’attaccavano [la democrazia] dall’esterno, non progettano d’instaurare la dittatura del proletariato, non ordiscono un colpo di stato militare, non commettono attentati suicidi in nome di un dio impietoso. Essi indossano gli abiti della democrazia e per questo motivo possono passare inosservati. Rappresentano però un vero pericolo: se non incontrano alcuna resistenza [ricordate? Resistere resistere resistere!], un giorno finiranno per svuotare della sua sostanza questo regime politico [che democrazia è quando chi vincerà viene deciso nei talk televisivi e nei sondaggi?]. Condurranno a una spoliazione degli esseri e a una disumanizzazione della loro vita [quella finta dei reality]." (p. 231).

"I mutamenti attuali della democrazia non sono effetto né di un complotto né di un’intenzione malevola, ecco perché risulta difficile frenarli. Sono dovuti a un’evoluzione delle mentalità, a sua volta legata a una serie di cambiamenti molteplici, anonimi, sotterranei, che vanno dalla tecnologia alla demografia passando per la geopolitica [ma altresì per l’invasione mediatica delle nostre vite]. La promozione dell’individuo, l’autonomizzazione dell’economia, il mercantilismo della società non possono essere abrogati da un decreto dell’assemblea nazionale né da una nuova presa della Bastiglia. L’esperienza dei regimi totalitari esiste per ricordarci che, se ignoriamo queste grandi linee di forza storiche, si va inevitabilmente verso la catastrofe. Non credo nemmeno che la salvezza consista in una qualsiasi innovazione tecnologica in grado di rendere la vita più facile a tutti [lo possiamo constatare ogni giorno]. La tecnica ha compiuto progressi da gigante nel secolo che si è appena concluso, rendendo possibile un progressivo dominio della materia, ma con una conseguenza sorprendente: la consapevolezza che nessuna tecnologia potrà mai soddisfare tutte le nostre attese. Non è sufficiente migliorare all’infinito gli strumenti, al tempo stesso occorre porsi la domanda sugli obiettivi perseguiti: in quale mondo intendiamo vivere? Che vita vogliamo condurre?" (pp. 233-234).

Veniamo ora alla pars construens, a quello che Todorov ha auspicato in quel ormai lontano 2012, susseguente alla estrema illusione della “primavera araba” (2011): “Piuttosto che nella rivoluzione politica o tecnologica, cercherei un rimedio ai nostri mali in una nuova evoluzione delle mentalità che permettesse di ritrovare il significato del progetto democratico e di equilibrare meglio i suoi principi fondamentali: potere del popolo [che sia però popolo, non massa di individui arrabbiati], fiducia nel progresso [niente ritorno a illusorie società ereniche], libertà individuali [ma non licenza senza regole], economia di mercato [ma controllato dal diritto], diritti naturali, sacralizzazione dell’umano [l’uomo come fine, non come mezzo].” (p. 235). 

 “Un’ecologia più estesa pensa la cultura e la società come l’ecologia pensa già il nostro ambiente fisico; s’interessa dunque delle condizioni dell’esistenza psichica, della vulnerabilità sua e di quella degli ecosistemi sociali” [F. Flahault, Le crépuscule de Prométhée, Paris 2008]. L’appartenenza culturale, la vita in una società sono innate alla natura umana. È nel quadro di una ecologia sociale e politica come questa che si potrà tenere conto della complementarità tra individuo e collettività, obiettivi economici e ricerca del senso, desiderio d’indipendenza e bisogno di attaccamento. Sempre in questo quadro si potrà vedere perché sia necessario resistere agli effetti del neoliberismo, quali la sistematica sostituzione della legge con i contratti, le tecniche disumanizzanti di management o la ricerca del massimo profitto immediato [ricordate? Tutto e subito!]. E sarà possibile riflettere sui vantaggi e sugli inconvenienti della diversità culturale o dell’imposizione dei medesimi valori morali a tutti." (p. 237).

“I vantaggi dell’Europa sono per il momento soltanto potenziali, ma esistono. Ed è possibile che la tartaruga europea un giorno superi le lepri che attualmente la precedono [Next Generetion You e i Fondi PRNN sarebbero una opportunità: sarà colta e sviluppata verso una vera Unione?], soprattutto se non avessero preso la direzione giusta. Questi vantaggi si riconducono essenzialmente a una lunga pratica di pluralismo: quello delle etnie, molto diverse tra loro a causa della natura stessa delle terre che abitano, separate le une dalle altre da mari e alte montagne, ma costrette a restare in contatto; quello delle correnti di pensiero che, fin dall’antichità, si confrontano e si influenzano reciprocamente: sofisti e platonici, cristiani ortodossi ed eretici, umanisti e antiumanisti, liberali e socialisti… […]. Queste caratteristiche delle popolazioni europee non bastano a evitare le derive della democrazia rappresentate dal messianismo, dall’ultraliberismo o dal populismo, ma costituiscono un terreno dal quale muovere per opporre resistenza. Se soltanto riuscisse a cogliere l’opportunità che le si offre di rifondare così la democrazia, l’Europa contribuirebbe a perfezionare un modello che aiuterebbe a uscire dalla sterile contrapposizione tra società patriarcale repressiva e società ultra liberale disumanizzata, un modello che seguirebbero volentieri altri paesi, altrove nel mondo.” (pp. 238-239).

Purtroppo l’ultimo decennio ci ha posto di fronte a sfide (pandemia, invasione dell’Ucraina) che hanno reso ancora più difficile la difesa della democrazia, che richiede regole e pratiche decisionali lunghe e noiose. Di fronte al “tutto e subito” il paternalismo populista acquista più forte credito nel mondo; e, come è sfumata la “primavera araba”, così sembra sfumare quella “primavera europea” auspicata da Todorov. Poiché, però, "il futuro dipende dalla volontà degli uomini" (ancora Todorov, p. 240), restiamo qui, fedeli all’antico assunto gramsciano “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.

 

(1) (le opinioni espresse dall'autore sono da attribuire al firmatario dell'articolo)

 

 

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