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UE: come vincere la sfida con la storia. Intervista al professor Luigi Troiani

10-09-2024 18:12

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UE: come vincere la sfida con la storia. Intervista al professor Luigi Troiani

A cura di Alessandro Mauriello

il professor Luigi Troiani insegna Relazioni Internazionali e Storia e Politiche delle istituzioni europee alla Pontificia Università San Tommaso d'Aquino di Roma. Ha scritto di recente “La diplomazia dell'arroganza”

L'intervista per Europolitiche è a cura di Alessandro Mauriello
 

Come giudica lo stato dell'arte della geopolitica odierna nel sistema mondo?
Le relazioni fra stati, popoli, economie, culture, costituiscono un sistema che, per convenzione, chiamiamo internazionale. I rapporti internazionali vanno esaminati in quella chiave: un tutto nel quale le parti si autocollocano, tenendo conto del loro interesse, ma in un quadro che garantisca al sistema di funzionare e non autodistruggersi. Al contrario la geopolitica attribuisce allo stato interessi immodificabili fissati dalla rendita di posizione: quella pretesa di onnipotenza è l'anticamera della capacità distruttiva anche totale attribuita alla potenza. Se si vuole chiamarla
"arte" si aggiunga un aggettivo: "degenerata".


Quale ruolo per Il Vecchio Continente, anche in termini di catene del valore?
È continente vecchio in termini demografici, perché in termini storici più vecchi sono Africa e Asia.
Una battuta, certo, ma nel 2050 sarà europeo solo il 7% dei terrestri contro il 25% d'inizio novecento. Si aggiunga che il 21,3% dei 489 milioni dei cittadini Ue ha età pari o superiore a 65 anni, con età media 44,5. Altri continenti hanno diritto, quanto noi, a contare e competere. Con questa consapevolezza, dobbiamo unirci sotto la bandiera dell'Unione e puntare agli Stati Uniti d'Europa.
Le beghe nazionaliste e il recente populismo sovranista ci hanno fatto perdere decenni fondamentali per lo sviluppo di tecnologia e ruolo. Se non si assegnano all'Ue politiche comuni nei campi industriale, fiscale, della difesa, dei mercati dei capitali, è impensabile un ruolo europeo nella competizione globale.


E in termini tecnologi ed energetici quale sarà il quadro secondo lei?
Sviluppo tecnologico ed energetico saranno, non per volontà dei 27, funzione anche di sviluppi strategici in corso, ad esempio l'aggressione russa all'Ucraina e il clima globale. Sparigliano rendite di posizione e aprono prospettive impensabili di collaborazione/competizione. Soprattutto se la Russia non vincerà la sua guerra di conquista, ci troveremo in un mondo nuovamente costretto a dialogare: tecnologie e nuove fonti di energia saranno fondamentali per la ricostruzione dell'Ucraina e la pacificazione globale. Per la Ue rispondo con qualche dato. Le sette più grandi imprese mondiali di tecnologia per capitalizzazione di mercato sono statunitensi: tra le prime venti compaiono solo due Ue, l'olandese Asml e la tedesca Sap. L'estone Skype è stata acquistata da Microsoft nel 2011, la britannica DeepMind da Google nel 2014. Nel 1990, in Europa si produceva il 44% dei semiconduttori mondiali, oggi il 9%. Per l'energia, valga la richiesta di Draghi: "prevedere una piattaforma europea dedicata ai minerali critici, principalmente per gli appalti congiunti, la sicurezza dell'approvvigionamento diversificato, la messa in comune, il finanziamento e lo stoccaggio."
 

Ritornando all' Europa, abbiamo visto l' uscita dei due rapporti Draghi e Letta, per la Commissione Europea. Come li giudica nei loro contenuti?
Nel 1960 i futuri 28 esprimevano più di 1/3 del pil mondiale e nel 1980 il 30%, ma alla fine del XXI secolo saranno a 1/10! La crisi statunitense dei subprime nel 2007 ci ha messo a terra: nel periodo pre Covid gli Usa crebbero del 20% e l'Ue solo del 10%. Se nel 2008 l'Ue a 28 rappresentava 1/4 del pil mondiale, superando gli Stati Uniti (23%) e surclassando la Cina (7%), tra il 2015 e il 2019 era scesa intorno al 18%. Scricchioliamo in dinamismo e capacità finanziaria, regaliamo ai competitor cervelli, aziende e prodotti, e da produttori /venditori diventiamo compratori. Nella partita strategica dell'Ia, siamo spettatori. Letta e Draghi costatano che la questione è strutturale non congiunturale, come provano i numeri Ocse sulla discesa comparata di produttività e retribuzioni Ue.
Più tradizionale l'approccio di Letta, che cerca le condizioni per le priorità del programma Ursula: neutralità climatica, difesa comune, l'allargamento. Aleggia sul rapporto la preoccupazione che i paesi e le imprese dei 27 non percepiscano il rischio di essere risucchiati dal mercato globale perché troppo piccoli per competere. Chiede un bilancio Ue oltre l'attuale 1% del pil e la revisione delle regole di concorrenza così che si formino grandi blocchi industriali, ipotizza finanziamenti per progetti transfrontalieri, castiga gli aiuti di stato, accresce i controlli della Commissione.
Più innovativo e politico il documento di Draghi, che esige un cambio radicale per competere con Usa e Cina. Nella rincorsa tecnologica agli Usa servono 650 miliardi €/anno fino al 2030 e 800 l'anno nel decennio successivo.
Una parola sull'Italia. Lo scenario prefigurato ci vede ritardatari: finanza pubblica, cattiva amministrazione, situazione sociale/salariale gli handicap maggiori. Togliamoci dalla testa di essere "speciali" e che ciò che vale per gli altri non valga per noi. La parabola della Grecia ci insegna cosa può accaderci.
Accantoniamo o rinviamo progetti illusori che nulla hanno a che vedere con l'urgenza di mettere ordine in casa, e attrezziamoci per la complessa operazione che attende l'Ue.

 


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