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Gli scenari associati alle migrazioni globali e alle rotte verso l'Unione europea

11-06-2022 12:18

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Gli scenari associati alle migrazioni globali e alle rotte verso l'Unione europea

Intervista di Patrizia Gallo al Dott. Emilio Vercillo, già psichiatra al SAMIFO di Roma, sull'accoglienza ai migranti forzati e ai rifugiati in fuga verso l'UE

la rubrica MACRO\SCENARI propone una lunga Intervista di Patrizia Gallo al Dott. Emilio Vercillo, già psichiatra al  Centro SAMIFO e ora in forze a Centro Astalli di Roma, sulla presa in cura sanitaria e l'accoglienza dei migranti forzati e dei rifugiati in fuga verso l'Unione europea

 

Patrizia Gallo Negli ultimi decenni fenomeni derivanti da variazioni
climatiche, uragani, desertificazioni, carestie o da
sconvolgimenti politici originati da guerre, dittature,
terrorismo islamico hanno determinato lo spostamento,
numericamente ingente, di grandi masse di persone
dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa.
L’Occidente era ed è ritenuto da chi non ha nulla, gli Ultimi
del Pianeta, un Eldorado.
Chi meglio di lei, Dottor Vercillo, può aiutarci a dipanare il
groviglio dei problemi collegati al movimento delle masse
da un continente all’altro.
Negli ultimi anni ha svolto la sua professione presso il
centro SAMIFO, Salute Migranti Forzati della ASL ROMA 1,
che si occupa della presa in carico sanitaria per varie
specialità mediche di migranti forzati, migranti che
richiedono o hanno ottenuto protezione internazionale o
asilo politico. E attualmente lavora come volontario Astalli
per i rifugiati ucraini.

Emilio Vercilio : Il problema dell’aver chiuso, con la legge Bossi Fini, la
possibilità di arrivare nel nostro paese con richieste di
lavoro per ottenere un permesso di soggiorno ha portato,
come diretta conseguenza, che l’unica maniera di ottenere

questa possibilità di restare nel nostro Paese resta la
richiesta di protezione internazionale o di asilo.
Quindi anche persone non perseguitate, o non a rischio nel
loro paese, hanno dovuto ricorrere alla richiesta
di protezione internazionale su fino all’asilo politico, per
poter restare legalmente in Italia.
Le Commissioni dipendenti dalle Prefetture esaminano in
prima istanza le richieste, la coerenza delle motivazioni e
delle narrazioni dei migranti per rilevare l’esistenza o meno
dei requisiti necessari per concedere le varie forme di
protezione internazionale. Di fatto chi viene nel nostro
paese non ha altra possibilità per restarvi, sono di fatto
tutti richiedenti asilo.
Il servizio sanitario pubblico SAMIFO, di riferimento
regionale, si occupa a livello plurispecialistico della salute
dei migranti forzati, che arrivano con la richiesta di
legalizzare la loro posizione. Si tratta di un Servizio sanitario
pubblico creato con un accordo di collaborazione con il
centro Astalli, branca italiana del Servizio internazionale dei
Gesuiti sui rifugiati, messo su da Padre Pedro Arrupe che,
trovandosi sotto le bombe di Hiroshima, ha compreso la
necessità di creare un centro internazionale per aiutare i
rifugiati. Una particolare joint venture si è creata tra
servizio pubblico e terzo settore. Il centro Astalli collabora
fornendo mediatori culturali, traduttori che possano
spiegare le difficoltà e le diversità anche culturali oltre che

di lingua, come supporto ai medici che devono curarli, di
persone che arrivano da tutte le parti del mondo.

 

D) Può indicarci le rotte più battute dei migranti giunti in
Italia, a Roma in particolare, dove Lei opera?

R) Presso Il centro SAMIFO abbiamo potuto vedere persone
che arrivavano dall’Estremo Oriente, Cina Indocina
Afghanistan Bangladesh Pakistan Iran, Medio Oriente Iraq
Siria, Africa.
Non tutti hanno condizioni di guerra nel loro paese, molti
sono però in ogni caso in condizioni di serio pericolo di vita.
Come in Congo, un paese da cui è difficile scappare, non ci
sono vie di terra per la fuga, i pochi arrivano per via aerea,
con documenti falsi riescono a procurarsi un biglietto: i
pazienti del Congo sono quelli da cui ho sentito le violenze
più grandi. Un paese estremamente disomogeneo, con
guerre tra le diverse etnie: chi sostiene la parte avversa alla
etnia che arriva al potere, viene sistematicamente
perseguitato; sono presenti in molte parti del territorio
azioni di ribelli sul territorio che giustificano una presenza
militare, che a sua volta opera ulteriori violenze sulla
popolazione. Non c’è una vera e propria guerra dichiarata
ma storie di conflitti e persecuzioni sulle popolazioni.
O Paesi come la Mauritania, che non hanno nessuna
guerra, anzi è addirittura diventato un paese turistico: un

paese con una lunga storia di conflitti etnici, incontro tra
arabi, berberi e neri, appartiene alla fascia sud del Sahara,
la fascia del Sahel, con una popolazione composta da caste.
In cima gli arabi, i bianchi e in fondo c’erano gli schiavi fino
a poco tempo fa, fino agli anni 80 ancora lo schiavismo era
legale, di fatto è continuato in varie forme. Lo schiavismo
apparteneva o ad antichi schiavi africani delle popolazioni
berbere e arabe che hanno il potere in quel paese o nuove
schiavitù fatte da popolazioni senegalesi emigrate lì.
Alcuni pazienti sono stati curati per problemi derivanti da
infanzie problematiche proprio a causa della schiavitù dei
padri: sul libro che ho scritto, un manuale “Clinica del
trauma nei rifugiati” c’è un episodio relativo agli effetti
delle psicopatologie derivanti da questa condizione, da
forme di schiavitù tradizionale: nasci figlio di schiavi e se
sei donna hai anche un diverso valore di mercato ma
subisci anche altri tipi di violenza. Anche in questo caso
non c’è guerra, molti scappano da una persecuzione
personale o etnica o che possiamo definire di condizione
‘sociale’ dovuta alla differenza tra caste.
Altri paesi poi hanno problemi di criminalità o terrorismo,
come la Nigeria, il paese demograficamente più importante
in Africa. Forte aumento di popolazione, anche per questo
con grande crescita economica, reddito pro capite elevato
e in crescita rispetto alla media africana. Come in
Occidente ci lamentiamo del grande divario tra le fasce di

reddito, con la diminuzione delle fasce intermedie, anche
in questi paesi le differenze tra fasce di reddito è notevole,
da società antica, da patrizio romano latifondista e una
massa di contadini poveri. La Nigeria è un Paese con
moltissime etnie e lingue differenti, unico collante di
comunicazione una forma particolare di inglese divenuto
comune, ma non a tutte le aree. Lingue differenti, etnie
differenti, culture differenti.
Una piccola parte del paese è soggetta alle persecuzioni dei
ribelli, gruppi integralisti molto crudeli come i Boco Haram,
gruppo armato jihadista. Le aree soggette ad incursioni,
uccisioni da parte degli integralisti costituiscono una
piccola parte del paese con problemi enormi di
persecuzione e uccisioni. Un paese molto popolato, con
forti pressioni migratorie, gli arrivi in Italia sono moltissimi.
Hanno due possibilità.
O dichiarano di essere scappati dalle zone soggette a
persecuzioni e violenze, e in questo caso si potrebbe anche
obiettare che potrebbero anche spostarsi nelle zone più
sicure del paese, oppure di essere vittime della tratta della
prostituzione gestita dalla mafia nigeriana, molto presente
anche nel nostro paese. Una delle mafie più potenti e
crudeli al mondo, nel nostro paese oltre al traffico di droga
gestiscono anche la tratta della prostituzione. Difficilissimo
penetrare per la polizia in questi gruppi e, dal mio punto di
vista medico, difficile che le ragazze si aprano con lo

psichiatra. Le ragazze nigeriane, nonostante le violenze
terribili subite dai criminali nigeriani, violentate, mutilate,
fatte a pezzi si rifiutano di parlare e denunciare per paura
di mettere in pericolo la loro vita. Si tratta infatti di un
Paese particolare, culturalmente arretrato, cultura
estremamente violenta con sette di religioni animistiche
che controllano le zone con minacce di voodoo o altre
violenze sui familiari; sono molto chiusi, non si fidano di chi
non fa parte della propria setta. Un paese particolare, ma
non c’è una guerra neanche qui, certo esiste un sistema di
persecuzione molto pericoloso.
Poi abbiamo anche il problema di un grosso arrivo degli
Afghani, una comunità rilevante per gli arrivi in
maggioranza, quasi esclusivamente maschile almeno fino al
ritiro delle forze internazionali da Kabul e da tutto il loro
Paese. Per la prima volta l’estate scorsa sono arrivati anche
afghani di classe sociale differente dal passato, cittadini
fortemente compromessi per la collaborazione con le
ambasciate straniere. In questo caso sono arrivate anche
donne e di estrazione sociale differente, superiore rispetto
al passato.
Ultimi in ordine di tempo, sono gli arrivi dall’Ucraina.
La più tipica situazione di richiesta di asilo politico dei
rifugiati, per causa di guerra in corso nel paese di
provenienza, pur con molte particolarità. Tutta una serie di
leggende che sono girate allo scoppio della guerra,

dissuadevano i rifugiati ucraini dal richiedere la protezione
internazionale ai massimi livelli per il rischio di non poter
più rientrare nel loro Paese. Se ti concedo l’asilo politico, il
massimo grado di protezione internazionale, vuol dire che
rischi la vita se rientri nel tuo paese. I commissari che
esaminano le richieste di asilo, indagano sul reale pericolo
di vita in caso di rientro. Nel caso degli ucraini non è così,
un permesso di soggiorno temporaneo non pregiudica la
possibilità di un rientro successivo. Tutte le bufale circolate,
come non richiedere assistenza sanitaria perché più si
fanno notare più potrebbero avere problemi per poter
rientrare, mentre in realtà molte persone sono già rientrate
in Ucraina, senza problemi, pur continuando i
bombardamenti russi. Nel caso degli ucraini, loro vogliono
rientrare nel loro paese, al contrario di altri rifugiati in
Italia. Sono persone con il più tipico status legittimo di
richiesta di asilo politico, senza lungaggini di accertamento
per la concessione.
Nelle commissioni e poi nei tribunali con l’appello, vengono
valutate le differenti situazioni di ogni singola richiesta.
Esistono paesi, ad esempio, con persecuzioni per motivi
religiosi, come la Russia. Un rifugiato che conosciamo è un
rifugiato religioso russo, per chi conosce la storia lunga
secoli di persecuzione di chi appartiene ai “vecchi
credenti”
, per chi conosce la storia della chiesa ortodossa

russa. Sempre dalla Russia, ad esempio, esistono rifugiati
politici russi anti putiniani, contrari al regime in patria.
Esistono altri rifugiati politici ad esempio dal Camerun, uno
degli stati coloniali che ha unito due popolazioni che
distinguiamo tra francofona e anglofona. Una ha avuto
relazioni con il colonialismo francese e l’altra con quello
inglese. Nel momento di uscita dal colonialismo, la
minoranza anglofona ha subito molte restrizioni, sono ad
esempio obbligati all’università in lingua francese, gli
attivisti del movimento studentesco anglofono sono stati
oggetto di persecuzioni e sono stati costretti alla fuga.
Altro motivo dei rifugiati ad esempio dall’Eritrea, era il
servizio militare: molti sono scappati per evitare un servizio
militare molto pesante che dura molti anni. Ora sono
impossibilitati a rientrare proprio per essere scappati dal
loro paese, considerati come disertori.
Questo è un problema che si pone anche per i rifugiati
dall’Ucraina, i disertori.
Dall’Ucraina possono uscire solo donne e bambini, gli
uomini solo se hanno moglie e da quattro figli in su, ma gli
altri sono tutti obbligati a rimanere per difendere il Paese.
Gli adulti disertori sono scappati per sopravvivere, ma
psicologicamente si sentono in colpa per averlo fatto,
soprattutto se hanno lasciato parenti, mogli, madri nel
paese di origine. In più si trovano in una situazione che

potrebbe, in futuro, rendere impossibile il loro rientro in
Ucraina. E questo procura effetti psicologici gravi.
I motivi degli arrivi in Italia quindi sono i più diversi, anche
per povertà o per avventura.


D) Avventura, in che senso?
R) Avventura nel senso che sono dei giovani che
appartenendo alla specie umana, hanno una particolarità
tra i mammiferi, che porta ad occupare tutti gli spazi vivibili
per quanto inospitali del pianeta, cosa che non avviene per
altre specie, anche gli uccelli migratori hanno rotte fisse. Le
zone più inospitali sono state infestate dai sapiens, la
specie umana si è spostata anche in zone inospitali come il
pack, come gli Inuit, o in mezzo al deserto o alla neve.
Poi ci sono anche i migranti per avventura.
Mi sono chiesto sempre: tutti quelli che attraversano una
via migratoria attraverso la Libia per arrivare in Europa,
possibile non sappiano dei rischi e pericoli cui vanno
incontro? Questa è la via più comune attraversata dalle
fasce subsahariane per arrivare in Italia. In realtà lo sanno
bene, e per vari motivi: perché gli è stato raccontato da chi
è riuscito a passare; oppure bisogna pensare al fatto che si
paga una cifra ai trafficanti, ma poi in realtà vengono
rivenduti più volte a vari gruppi. Si tratta di trafficanti del
sud del Sahara, nella fascia del Sahel, delle stesse tribù che
nell’antichità si occupavano di fabbricare schiavi che poi

rivendevano agli Arabi. Storicamente gli Arabi sono stati i
maggiori acquirenti di schiavi dall’Africa e dai Paesi del
Nord Europa. Il termine schiavo deriva infatti da slavo, la
più tipica mercanzia di schiavi venduta, proprio in
riferimento alla maggioranza delle popolazioni costituenti
gli schiavi.
Adesso che si parla tanto della Russia, bisogna ricordare
che il termine deriva da RUS’
, uno stato primitivamente di
vichinghi (poi mescolatisi con gli slavi), risale al IX secolo e
definisce l’identità etnica delle popolazioni che abitavano
le zone attorno al fiume Dnepr, una entità territoriale che si
estendeva da Kiev (oggi capitale dell’Ucraina) a Novgorod,
città non lontana dall’odierna San Pietroburgo. La RUS’
nasce come una entità organizzata per il traffico di schiavi e
pellicce. I vichinghi calano in quelle zone e creano centri
per il commercio di pellicce e schiavi da rivendere più che
all’Impero di Costantinopoli al Califfato. Per il pensiero dei
musulmani non si può rendere schiavo un credente, ma un
non credente sì. E questo ha consentito appunto che gli
schiavi, prima denominati dal termine latino servus, poi in
epoca medievale sclavus dagli slavi, che erano il genere più
richiesto e venduto per forza fisica, fossero di origine slava.
La vendita di schiavi fa la ricchezza storica delle
Repubbliche marinare, i cui introiti non derivavano, come si
legge sui testi scolastici, dal commercio di stoffe e spezie
dell’oriente bensì dalla vendita di schiavi. Città come

Genova, o ancora prima Amalfi e Capua: in alcuni editti
papali si vietava alla gente di Capua di fare schiavi i
conterranei dell’entroterra. A chiunque sarebbe potuto
accadere di diventare schiavo, i pirati facevano schiavi per
mare e li vendevano ad Algeri oppure anche un contadino
dell’entroterra di Capua poteva essere preso e reso
schiavo, e in questo i genovesi erano maestri, gli empori di
Crimea avevano questo scopo. Insomma diversamente
dalla schiavitù moderna non era su basi etniche.
Le rotte dei migranti verso l’Italia.
I migranti che arrivano via mare partono dalla Libia, in
parte dalla Tunisia. Per un periodo partivano anche
facendo rotta dal Medio Oriente con piccoli yacht, non
barconi quindi, evitando i paesi balcanici e la Grecia dura e
poco ospitale verso i migranti, arrivavano dal Medio
oriente per navigazione fino in Puglia o Calabria
attraversando il Mediterraneo orientale.
La maggior parte oggi arriva dal Maghreb attraversando il
Mediterraneo.
Poi ci sono dei canali peculiari utilizzati, come è accaduto
con gli ucraini e afghani.
Anche dal Bangladesh e dai paesi curdi intraprendono una
rotta che li porta fino in Libia, da cui poi arrivano qui in
Italia. Dalla Libia non arrivano solo dalle zone sub
sahariane quindi, ma arrivano persino dal medio Oriente.

Questo perché la Libia è uno stato non controllato, zone in
mano a bande che non fanno capo né ad Haftar né al
governo centrale di Tripoli. Catturano i migranti che
chiudono in campi, di fatto lager, controllati dal governo e
in altri centri in cui torturano con richieste ulteriori di soldi
ai familiari via Skype per rilasciarli e farli partire verso
l’Italia.
D)  Come gudica la scelta  la scelta di sovvenzionare centri per migranti in Libia e i rischi che corrono con queste interposizioni i migranti che
si dovrebbero tutelare?

R) Questa domanda esula dal campo della competenza
della mia professione, posso risponderle da uomo della
strada non da esperto. Sono problemi enormi dove si
scontrano aspetti di morale universale dei diritti dell’Uomo,
difesa e ragioni di stato, compromessi diplomatici necessari
e probabilmente, se da uomo della strada è così complicato
pensare ad una soluzione, anche riuscendo a fare una
simulazione mentale, non riesco a trovarla. Ogni soluzione
comporta conseguenze orribili. Non posso immaginare
come realistiche le ipotesi della “fortezza Europa” che
riesca a respingere e chiudere i porti, nel modello
salviniano che non ha funzionato neanche quando era lui il

ministro degli Interni. Tutto questo è impensabile nel
mondo moderno, non esiste la possibilità di chiudersi
totalmente come una fortezza. D’altra parte è impensabile
aprire completamente le frontiere, chiunque libero di
andare dove vuole, ovviamente tutto questo porterebbe al
crollo della civiltà da questa parte del mondo per il
sovraccarico e l’impossibilità di reggere. Che il mondo e il
capitalismo si reggano sulle diseguaglianze è un dato di
fatto, che nel contempo diminuisca la povertà mondiale è
anche un dato di fatto accertato da statistiche e calcoli di
studi internazionali. Modo indiretto di accertarlo è che la
popolazione aumenta in maniera esponenziale in Africa.
Nelle culture tradizionali come in Africa, qualsiasi aumento
di benessere, sia di salute che di reddito o prolungamento
di vita, si traduce immediatamente in prole. A dispetto di
tutti i pericoli futuri dell’Umanità anche dal punto di vista
alimentare, questo rende l’Africa con tutte le sue
contraddizioni, un’area enorme del mondo sempre più
ricca in futuro rispetto a prima. Che esistano disparità
sociali interne o per reddito è vero ma l’aumento di
popolazione è anche una spia della diminuzione di povertà
e delle condizioni di vita migliorate. In più è una zona di
investimenti internazionali, non solo la Cina sta
acquistando, e non solo materie prime necessarie alla
produzione, ma prodotti alimentari per la popolazione
cinese. La sovrappopolazione in Africa permette di pagare
salari molto bassi e di gestire in maniera dittatoriale i

processi produttivi, il che la rende una zona appetibile per
gli investimenti.

La soluzione alternativa di abolire totalmente le frontiere
anche per questa parte della popolazione mondiale,
porterebbe alla fine del mondo occidentale per come è
oggi. Per qualcuno sarà anche un motivo giusto, perché è
morale che non si abbia di più qui mentre altrove hanno
molto meno, ma faccio fatica a ragionare in termini morali,
non è il mio mestiere, e anche come psichiatra non è il mio
mestiere, o come cittadino che prova a ragionare. Molto
complicato trovare la soluzione giusta.

Fermo restando quelli che scappano perché di fatto
sarebbero a rischio nel loro paese, per motivo religioso,
etnico, politico, per una guerra in corso, molti altri
scappano per pura povertà, con la speranza di migliorare le
condizioni di vita. Per altri ancora si tratta solo di avventura
giovanile.
Chiedersi se costoro conoscono i pericoli e il perché
affrontino i rischi dei lager libici, è solo per un desiderio di
avventura che fa loro sottovalutare i rischi. Può darsi
abbiano ascoltato i racconti di altri amici e avranno anche
pensato: a me non capiterà, anche se poi hanno dovuto
ricredersi.

C’è anche questo aspetto dell’avventura, ma non va
demonizzato, appartiene alla specie umana.

 

D) Nel SAMIFO gli arrivi sono differenti a seconda della
zona di provenienza e di genere, e per la maggior parte
arrivano da soli, uomini e donne o interi nuclei familiari?

R) No, non arrivano quasi mai per nuclei familiari. Arrivano
soprattutto uomini, giovani che in seguito richiedono i
ricongiungimenti familiari. Anziani no, si tratta di migranti
in cerca di lavoro per la sussistenza. Le donne arrivano, ma
in quantità molto inferiore ad esempio dall’Africa.

 

D) Quando arrivano nel suo reparto sono reduci da
esperienze allucinanti tra costrizione nei lager e
navigazione in mare aperto affrontando mille pericoli.
Riescono ad aprirsi e raccontare liberamente i momenti di
terrore e le torture subite o si chiudono per paura delle
ritorsioni che potrebbero essere inflitte ai loro familiari
rimasti nei paesi di origine?

R) No, dal punto di vista psichiatrico bisogna fare una
distinzione. Si possono avere tutte le patologie del mondo.
Si possono avere persone che si portano malattie mentali
di cui soffrivano già in passato nella loro terra; o che
sviluppano qui malattie cui erano già predisposti ma non si
erano ancora manifestate per ragioni ad esempio di età,

come gli schizofrenici o psicotici, sono malattie tipiche
della fascia tardo adolescenziale o giovanile, ma avrebbero
potuto svilupparle anche nel loro paese. Che la loro follia
sia esplosa qui o lì è ininfluente. Oppure arrivano persone
che presentano disturbi di ansia, attacchi di panico,
depressione oppure conseguenze psicologiche per violenze
subite o per le torture subite, tortura da non confondere
però con la violenza inusitata.
Bisogna specificare. Tortura è una violenza intenzionale,
per uno scopo specifico e con la caratteristica che sia
ripetuta o ripetibile.
Se qualcuno in preda a droghe o per un impeto di rabbia ti
riempie di legnate, questa non è tortura. Oppure gran
parte delle donne che arrivano dall’Africa ad esempio,
subiscono violenze sessuali ma non si può parlare per loro
di tortura. La tortura deve avere uno scopo, come ottenere
informazioni ad esempio, oppure ti torturo in video
conferenza con i tuoi familiari per avere più soldi da loro.
Deve essere fatta a freddo, non c’è l’aspetto dell’impeto. Ed
è fatta in maniera ripetuta, oppure si minaccia di ripeterla
se i torturati non cedono alle richieste, ad esempio di
ottenere più informazioni. Può avere come scopo anche di
costituire un esempio per chi si azzarda a comportarsi
come il soggetto in questione, ragione per cui vieni punito
per far vedere agli altri cosa accade a chi reagisce. Sempre
esiste lo scopo, un fine a freddo e ripetuto.

Se subisco un trauma, dopo un periodo di recupero posso
anche avere la speranza di superare il trauma.
Se invece sono sottoposto a torture in maniera continuata,
o sono minacciato della ripetizione delle torture stesse, o
assisto e sento le urla dei torturati, il trauma si ripete senza
sosta. Questo serve a fiaccare le resistenze per ottenere
quello che il torturatore vuole dal torturato.
Dal punto di vista psicopatologico, la tortura, tra tutti i
singoli fattori traumatici che riescono a generare di sicuro
psicopatologie, è quello che come singolo fattore
traumatico può dare più facilmente conseguenze
patologiche.
Nelle statistiche, se prendo tutti i torturati nel mondo, le
metanalisi elaborate trovano una variazione percentuale di
quanti sviluppano psicopatologie che è tra il 35 e 48%, ma
sempre al di sotto, sempre inferiori al 50% sono quanti
sviluppano patologie che dipendono da trauma specifico
per torture. In altre ricerche, ad esempio elaborate per
violenze su bambini, sessuali fisiche e di altro tipo, che
sono nel nostro immaginario le violenze maggiormente
traumatiche, nel proseguo del tempo la patologia
strettamente relazionata con il trauma specifico non si
verifica sempre. Bisogna trovare nella letteratura esistente
una relazione diretta, che si stabilisca una relazione diretta
tra quel trauma e questa patologia psicologica.

Alcune ricerche sostengono che violenze, traumi e torture
non hanno alcuna relazione, ad esempio, con la
depressione.

Innanzitutto negli ultimi anni è avvenuta una cosa
mostruosa, confondere l’infelicità grave con una malattia
clinica come la depressione. L’infelicità che può portare
anche al suicidio, non è una condizione patologica, lo è la
depressione. Anche nel linguaggio comune si dice: sono
depresso mentre si dovrebbe dire: sono insoddisfatto, sono
triste o infelice. Si tratta in questi casi di gradazioni
differenti di emozioni e stati d’animo, non di condizione
patologica. L’infelicità non è una patologia quindi non si
risolve, non si cura con medicinali o psicoterapie, richiede
interventi politici o sociali.
Nel caso dei migranti ci sono studi che sostengono che i
traumi per torture e violenze non relazionano con la
depressione.
La perdita, al contrario, può generare depressione.
Per il migrante perdita si può intendere come lutti, perdita
di stato sociale che aveva nel paese di origine, di abitudini,
delle relazioni con familiari rimasti nel paese di origine,
perdita di identità per mancata integrazione nel paese di
arrivo, perdita dovuta a difficoltà di relazione per differenze

di lingua e cultura nel paese che lo accoglie. Questo è
relazionato con depressione, in senso generale.
Il trauma è da mettere in relazione con un disturbo post
traumatico, o nel caso di traumi infantili o adolescenziali
ripetuti si relaziona con i disturbi dissociativi.
Ma anche nel caso di violenze ripetute su bambini, non si
verifica il 100% di casi di disturbi dissociativi da grandi.
Molti hanno solo disturbi della personalità borderline, ma
molti altri non hanno alcuna traccia di patologia da grandi.
Questo è importante a livello politico o giuridico.
All’inizio si chiedeva una certificazione psichiatrica per
suffragare le dichiarazioni dei migranti nelle commissioni e
nei tribunali. Nel caso specifico lo psichiatra avrebbe
dovuto accertare la veridicità delle dichiarazioni,
impossibile naturalmente da accertare la narrazione, e la
veridicità dei sintomi che dichiaravano di avere in seguito
alle torture. Impossibile anche questo da stabilire. L’unica
cosa che lo psichiatra può accertare: se hanno una
patologia post traumatica. Al limite se esiste
corrispondenza tra i flashback, le scene che rivive in questi
incubi da sveglio e i racconti delle torture fatte in
commissione, probabilmente questi sono corroborati. Ma
se un migrante non presenta patologia post traumatica non
si può mai dire che non sia vero quello che racconta sulle
torture e i traumi subiti.

Se il migrante non sta male, non si può dire che non sia
vero quanto racconta di aver subito. Lo psichiatra non può
aiutare i commissari o i giudici a determinare la coerenza
della sua narrazione.


D) Avrà notato che si sono verificate disparità tra il
trattamento dei migranti arrivati in passato e i profughi
dall’Ucraina. Ai primi negato tutto, secondo il principio
ispiratore “Rimandiamoli indietro, aiutiamoli a casa loro”,
agli ultimi, gli ucraini, concessioni di vario genere. Come
considera la questione dal suo punto di vista?

R) Vogliamo vederlo dal punto di vista astratto o sulla base
di come funzionano gli essere umani? Se esaminiamo la
questione dal punto di vista del funzionamento degli esseri
umani, è il tipico atteggiamento di accudimento e difesa
del simile, della tribù, del branco, seguendo l’istinto
naturale. L’Ucraina è più simile a noi, e ce l’hanno anche
fatta sentire molto più simile di quella che sia, ma la
riconosciamo anche più simile a noi. D’altra parte abbiamo
anche tutte le evidenze filmate, vedendo tutti i giorni in tv
che scappano da una guerra, violenze o bombardamenti.
Molto spesso nei paesi africani più sperduti non siamo al
corrente di quanto stia accadendo. La gente reagisce in
maniera differente come conseguenza di tratti naturali dei
mammiferi ed effetto di carica emotiva comunicata
attraverso l’informazione. Che tutto questo non stupisca
non vuol dire che sia giusto. Tutti gli esseri umani

dovrebbero essere considerati e trattati in maniera uguale.
Nel mondo occidentale abbiamo per questo una
Dichiarazione dei diritti dell’uomo, non sempre applicata
ma esiste. Un atteggiamento invece che la legge naturale
prevede è la maggiore empatia e istinto di protezione verso
chi è più vicino a me, e un atteggiamento ostile verso altri
gruppi, come ben ereditato dall’antenato comune nostro e
degli scimpanzè. Questo comporta che, se voglio sviluppare
un atteggiamento ostile verso chi non fa parte del mio
circolo dei prossimi, devo renderlo mostruoso, devo
mostrificarlo, cioè devo presentarlo e mostrarlo come più
distante e diverso possibile da me. Come la politica fatta
sugli ebrei. Non è un essere umano, è a metà tra uomo e
animale, non è in fondo un vero uomo. Più marco la
distanza tra me e l’altro, più facilito anche il processo,
l’applicazione dell’espulsione. Facilito una reazione istintiva
che deriva dall’evoluzione darwiniana.


D) Il business delle barche, vecchie e cariche fino
all’inverosimile, che abbandonano i migranti alla prima
costa raggiungibile del nostro Paese, trasferisce il problema
direttamente sull’Italia: gli altri Paesi europei si sono
rifiutati in passato di firmare Trattati che potessero imporre
l’assunzione di grandi quote di migranti a tutti al fine di
redistribuirli in maniera equa. Dovrebbero essere rivisti
anche i relativi Trattati. Ritiene che possa bastare una

norma per risolvere il grave problema della elusione dei
controlli?
Con il contenuto dei Trattati che pone l’accento sullo
sbarco nel primo porto sicuro, naturalmente noi siamo
sempre più esposti al fenomeno per maggiore quantità di
km di coste.

R) Le porto l’esempio della Spagna. La Spagna ha grandi
arrivi anche per una contiguità maggiore con l’Africa, e in
più arrivano anche attraverso le Canarie, attraverso una
rotta in mezzo all’Oceano. Hanno accordi di collaborazione
con il Marocco, per cui possono rimandare in Marocco tutti
quelli espulsi che sono passati attraverso il Marocco, anche
se non sono marocchini. Quindi anche chi proviene dalla
Costa d’Avorio, Mauritania, Senegal ma arrivato attraverso
il Marocco, se in Spagna viene denegato può essere
rimandato in Marocco e il Marocco deve accettarlo. Per noi
in Italia non esiste nulla del genere. Le espulsioni sono rese
difficili dal fatto che dobbiamo rimandarli nei loro Paesi di
origine, che di fatto negheranno che sia loro cittadino.
Né possiamo rimandarli in Libia, ovviamente, non è un
paese come il Marocco. Posso pagare i libici affinché non li
facciano arrivare fin qui, ma non si arriva a pensare di
rimandarli lì, non c’è alcun accordo per poterli rimandare
indietro.

Nel caso recente della nave italiana di una Ong spagnola,
accaduto mentre era ministro Salvini, alla quale è stato
negato l’approdo nei nostri porti: la Spagna ha accettato di
prenderli, ma in realtà appena sbarcati sono stati espulsi
tutti. Le legislazioni sono differenti tra i due paesi. Da noi
esiste una legislazione molto meno restrittiva, e con
possibilità di accoglienza. Anche tutti quelli che vengono
respinti dalle commissioni, fanno ricorso in Tribunale e in
seconda istanza, buona parte di questi ricorsi vengono
successivamente accolti.
Anche se sono respinti, di fatto non si riesce a rimandarli a
casa. Le politiche seguite sono di finanziamento di
rimpatrio volontario. O il rimpatrio è volontario con una
quota di soldi per incentivarlo, o è forzato con scorta fino al
paese con cui si abbia un accordo per il rimpatrio, ma è
molto oneroso pagare delle forze dell’ordine per scortarli
fino al Paese di origine. Molto costoso e complicato farli
rientrare così, rispetto al rimpatrio volontario. Per me
risulta difficile anche pensare di applicare una legge morale
che non funziona mai nel ragionamento politico.


D) No, non deve essere facile applicare la legge morale alle
scelte politiche: lo dimostra il fatto che non si riesce a
spiegare come possa accadere di sapere esattamente cosa
accade nei lager, cosa accade in Libia ma la comunità
europea o internazionale si gira dall’altra parte, fingendo di
ignorare la realtà.

R) Il problema è complicato. Se accettassimo tutti, quindi di
farne arrivare molti di più, questo alimenterebbe ancora di
più il mercato dei trafficanti. Difficile trovare una soluzione
ottimale. Da uomo della strada, non da esperto che non
sono - sono un medico e posso solo parlare delle
conseguenze che si verificano quando accadono eventi
traumatici - posso dire non funziona né chiudersi
totalmente né aprirsi totalmente. Aprirsi totalmente
vorrebbe dire decidere che dato che il mondo è cattivo e
ognuno di noi è colluso con la cattiveria, da quello che si
mangia a come ci si veste, tutto quello che si fa è generato
da qualche violenza nel mondo. Dal telefono che stiamo
usando adesso, che deriva da materie prime che hanno
causato violenze nei Paesi in cui sono stati estratti, metalli
del Niger o il litio dell’Ucraina: dietro il nostro usufruire e
vivere esistono tante violenze di vario genere.
L’unica maniera di chiamarsene fuori è suicidarsi. Voler
essere innocente comporta il tirarsi fuori dal vivere.
Noi siamo in questa filiera. Non ce ne sono altre forme di
innocenza vera. Noi siamo in questa filiera, immaginare
una soluzione che risponda alla legge morale è solo una
soluzione finale individuale.
Oppure forse chi vuole una apertura totale delle frontiere,
vuole in realtà il suicidio di tutti gli Stati, del benessere e
anche della nascita dei principi dei diritti dell’uomo, che
non sarebbero nati senza l’Illuminismo che non sarebbe

nato senza il Colonialismo. O la Scienza, che non sarebbe
nata senza le ricchezze date dalle colonie.


D) Anche giuridicamente, la richiesta di rivedere e
riformare i Trattati, in realtà non basta a trovare soluzione
al problema. Anche se si modificano le norme, ma non si
stabilisce chi deve applicarle e di fatto controllare, restano
norme scritte ma senza alcuna applicazione concreta.

R) Anche in psichiatria, abbiamo l’esempio nefasto del TSO.
Misura di politica sanitaria entra in caso di malattie
infettive prima, con la riforma psichiatrica viene
trasformato il vecchio ricovero coatto ed esteso ad altri
casi. Si stabiliscono gli elementi per la sua applicazione,
come il sindaco che deve farlo in pratica. Dal 1978 ad oggi
le procedure non sono mai state scritte, a chi tocca farlo
andando a prendere il soggetto in questione, in pratica non
è stato stabilito. Che non si scrivano mai le procedure o
siano inattuabili è tipico della legislazione del nostro Paese.
Ancora, lo stesso è accaduto con il proibizionismo, ad
esempio relativo alle droghe, che non funziona. Il
proibizionismo non è mai stato attuato, chiunque è libero
di drogarsi quanto gli pare, c’è solo una dichiarazione sul
proibizionismo, ma che non produce effetti.
Siamo un paese nominalistico. Pensiamo che per avere
dichiarato una cosa, la cosa è diventata realtà. O per aver
cancellato qualcosa, quella cosa non esiste più.

Come è accaduto con la malattia mentale, o la cronicità
della malattia mentale, cancellata per legge. Tranne
scoprire che di fatto non è così, la natura se ne frega delle
parole umane. E anche la natura sociale degli esseri se ne
frega della stessa natura umana.
Non fermano le torture in Libia chi vuole venire, non
fermano le politiche di chiusura chi vuole venire.

 

D) Si ritiene normalmente che per le torture subite arrivino
qui o altrove persone con traumi. Al contrario, non è detto
che ci sia questa connessione tra torture subite e trauma,
come lei ha già spiegato. Può chiarire meglio quanto già
affermato in risposta ad altra domanda?

R) La ringrazio per aver usato il termine “trauma” nel senso
proprio, non come nel linguaggio comune usato nel senso
di evento traumatico ma nel significato proprio di termine
medico, conseguenza patologica di violenza o di tortura. Di
fatto posso anche avere un evento violento da cui però non
deriva un trauma, ma si può anche verificare che non tutti
quelli che arrivano qui siano stati oggetto di violenze o di
torture. Meglio chiarire. La realtà non è mai né: sono tutte
bugie, se la passano benissimo e vogliono solo venire qui,
tipico ragionamento leghista, ma neanche nella versione da
cattolicesimo pietista: sono tutti poverini, persone deboli
che noi dobbiamo aiutare.

D) Con la pandemia sono arrivati molti migranti provenienti
dai paesi più poveri. Nonostante siano stati previsti
programmi internazionali per le vaccinazioni in patria, la
maggior parte non era ancora vaccinata?
R) La questione è differente da Paese a Paese.
A seconda del paese di provenienza, come ad esempio i
paesi dell’Est Europa hanno molti non vaccinati. Esiste la
differenza tra chi non era vaccinato e chi non si è voluto
vaccinare, come in Romania.
Per chi è arrivato dall’Ucraina, l’hub approntato subito
dalla ASL Roma 1 è stato preso d’assalto da chi voleva
vaccinarsi ma non lo aveva fatto in patria non fidandosi del
vaccino russo, da chi voleva sapere se poteva fare i
richiami, e da chi chiedeva di vaccinarsi per la prima volta
temendo il contagio, date le condizioni di sovraffollamento
nei centri di accoglienza.
Nei centri di accoglienza dei migranti, ad esempio africani,
c’è stata una campagna di informazione per convincerli a
vaccinarsi. Nei loro paesi di origine spesso si è diffusa una
disinformazione basata su una bufala, secondo la quale era
un virus, e quindi una malattia, che riguardava solo i
bianchi.
A posteriori esiste oggi l’enigma di leggere i dati in Africa.
Apparentemente risultano pochi morti e pochi infettati.

Vero è che già nel periodo dell’Ebola erano state
approntate misure di sicurezza e quarantena per evitare il
contagio, utilizzati anche per questo virus, ma molti paesi
non hanno avuto la possibilità economica di vaccinare tutti
i cittadini.
Apparentemente i morti sono stati di meno in Africa, e da
qui nasce l’enigma. Una delle ipotesi fatte è una rilevazione
dei dati poco attendibile, non sono stati registrati bene,
altre ipotesi si basano su molte ricerche fatte sulle
variazioni genetiche.
Noi abbiamo dei geni di provenienza Neanderthal, con
maggiore presenza nei paesi del Nord Europa e minore
man mano che si scende verso il bacino del Mediterraneo;
mentre le popolazioni subsahariane non sono mai entrate
in contatto con questi geni.
Le prime ricerche provenienti dal Max Planck di Monaco
sostenevano che la presenza di questi geni di provenienza
Neanderthal garantiva maggiore protezione dal virus.
Ricerche successive invece andavano in senso contrario, ci
sono tutta una serie di geni Neanderthal che aumentano la
probabilità di ingresso intracellulare del virus.
Quanto di questo c’entri per giustificare i dati africani,
sarebbe interessante saperlo.
Sappiamo anche da noi che alcuni geni davano maggiore
protezione rispetto ad altri nel momento dell’infezione.

Il SAMIFO ha lavorato anche in questo senso, ha
approntato un mezzo per raggiungere i rifugiati e
vaccinarli, controllando dal punto di vista sanitario i
migranti arrivati. Più controllati sanitariamente sono i
migranti che arrivano e non sfuggono ai controlli, più
abbiamo sicurezza dal punto di vista sanitario.
Una delle conseguenze dei cambiamenti del ministro
Salvini, di ridurre i tempi e le modalità di permanenza nei
centri di accoglienza, era in effetti contro gli obiettivi da
raggiungere. Più i migranti restano nei centri fino alla fine
dell’iter, più possono seguire corsi per apprendere la lingua
ed inserirsi nel mondo del lavoro, ma soprattutto sono
sottoposti a controlli dal punto di vista sanitario. Non si
rischia che in stato di clandestinità diventino delle bombe
per la diffusione del contagio. Si possono controllare se
hanno condotte aggressive, tendenze a delinquere,
malattie mentali mentre mandandoli fuori presto dai centri
ci ritroviamo una parte della popolazione non registrata,
non controllata né controllabile.


D) Secondo la normativa vigente chi organizza e gestisce
materialmente l’assistenza di tanti profughi e rifugiati in
Italia con la prima accoglienza nei CPA e con il secondo
step, il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai)? Con il
Sai si ritorna ai principi che avevano ispirato lo Sprar.
Consiste in un tipo di accoglienza meno assistenziale e più
volta all’integrazione. Al sistema possono accedere sia i

richiedenti asilo che i titolari di protezione (coloro che
hanno già visto accolta la richiesta di asilo e riconosciuto il
diritto a una protezione internazionale). Successivamente
si passa ad un altro livello affidato agli enti locali, i Comuni
che possono farsi carico di accoglienza e integrazione. Il dl
130/2020 introduce per la prima volta ulteriori percorsi di
integrazione dopo la seconda accoglienza. Al termine del
periodo nel Sai, infatti, le amministrazioni locali possono
avviare altre iniziative con lo scopo di favorire l’autonomia
individuale dei cittadini già beneficiari del Sai, con
particolare riguardo a una maggiore formazione linguistica,
all’orientamento lavorativo e ai servizi pubblici essenziali, e
alla conoscenza dei diritti e dei doveri fondamentali sanciti
dalla costituzione.
Tutto questo con quali risultati in concreto?

R) Il sistema del SAI corrisponde ai vecchi SPRAR, funziona
ancora abbastanza bene. Quello che non è cambiato è la
tipologia di chi può accedere a questi centri che si
occupano dell’inclusione, dell’inserimento, al momento è
ammesso solo chi arriva con richieste di protezione
internazionale o richieste di asilo politico accolte, ma non
quelli accolti ad altro titolo: misura economica di risparmio,
escludendo però in effetti la maggioranza dei migranti.

Posso anche io raccontare cosa ho trovato rientrando dalla
Spagna in Italia nel 2015. A quei tempi la maggior parte di
segnalazioni di persone con difficoltà arrivavano dal
personale dei centri di accoglienza. Questo perché c’era
personale in buon numero da poterli tenere sotto
controllo. Con i grossi tagli fatti nel periodo Salvini, si è
arrivati all’eliminazione di psicologi e il personale è stato
ridotto all’osso. Sono nate anche molte aziende che
gestiscono questi centri, che hanno preso in carico i
migranti, con luci ed ombre: aziende che gestiscono i centri
di accoglienza, spesso con personale ridotto all’osso e
anche non formato, si è formato sul campo lavorando per
molto tempo. È un lavoro improvvisato anche stressante,
molto rischioso dal punto di vista di salute fisica e mentale.
Sono posti dove spesso ci sono problemi di ordine
pubblico, che si verificano anche per l’assenza di persone in
grado di mantenere la disciplina e far rientrare le condotte
difficili. Da quel momento le segnalazioni dal centro al
SAMIFO sono scomparse, non sono quasi più arrivate: non
hanno più tempo di seguirli, tranne rari casi di gravi
patologie mentali o più spesso per soggetti con modi
delinquenziali o teppistici. Quelli che hanno patologie
mentali, i classici post traumatici, al contrario hanno paura
di tutto, fanno il possibile per diventare trasparenti, si
nascondono, fanno di tutto per non essere notati. Allora le
segnalazioni dal personale del centro non arrivavano più
per questi soggetti, ma arrivano dalle commissioni

incaricate di esaminarli. Arrivano in sede di commissione
ed entrano in crisi, si perdono nel nulla, scoppiano in pianti
e urla come se li stessero torturando lì. Viene da pensare
come sia possibile non averli visti prima, avendo passato
mesi in questi centri. Il sistema sulla carta è buono, ma ci
sono problemi per scarso personale per seguirli; poi premi
e obiettivi in termini non realistici, come nel caso dei corsi
per inserimento. Chi non ha mai imparato a leggere e
scrivere nel suo paese di origine non riesce neanche a
imparare la nostra lingua in un anno. Ancora peggio se
presentano anche disturbi post traumatici, non hanno la
serenità per concentrarsi su altro. Ti chiamano gli operatori
dal centro sostenendo che devono metterli fuori alla
scadenza dei termini, anche se secondo noi non sono in
grado di vivere e mantenersi da soli. Sono in difficoltà a
mantenerli ancora nelle strutture secondo queste regole
stabilite.


D) Esiste un mondo così vario di migranti che sono partiti
dai loro paesi di origine per arrivare qui in Italia, e poi da
qui forse raggiungere anche altri paesi. Riescono a farlo?

R) Molti vanno in Francia, sono quelli che arrivano da paesi
francofoni, alcuni in Germania ma non è facile entrare.
Molte volte anche la Francia li rimanda indietro qui in
Italia. Per non parlare dei paesi del Nord Europa, Svezia e
Danimarca ad esempio, li rimandano indietro subito per
quanto stabilito nel Trattato di Dublino. L’accordo ha infatti

stabilito che il richiedente asilo deve presentare la
domanda nel primo paese in cui è entrato in Europa.
Poiché nessuno prende una barca, fa il periplo uscendo
dalle colonne d’Ercole, andando attraverso il Mar del Nord
e passando attraverso la Manica per arrivare in Svezia.
Tocca in maggioranza all’Italia ricevere e vagliare tutte le
richieste di varie tipologie di protezione internazionale su
fino all’asilo politico.

 

Grazie

Patrizia Gallo per @europolitiche

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